Una rana Vera lei non lo fu per davvero
ma il simbolo così vero
rese il suo cammino non più così nero
Il mondo degli animali anima anche il mondo umano,
perché ha tre elementi che riguardano entrambi:
l’anima, i sensi, l’istinto.
Quando si vive soprattutto con i sensi, si è tutti animali
naturali.
Quando si vive soprattutto con l’istinto, si è animali e umani.
Quando si vive soprattutto con l’anima si è animali ragionevoli.
Ma se l’anima prevarica, rende sensi e istinto suoi schiavi.
E solo lei può farlo, perché non è ancorata alla terra come
loro.
Anche l’anima più bella, quando prevarica, trasforma tutto ciò
che sta sotto di lei in una realtà artificiale, non più naturale.
E mettendo in mostra se stessa, trasforma in mostruosità tutto
quello che pensa, che dice e che fa.
E chi vive accanto, che fine allora farà?...
Proprio per questo abbiamo organizzato questa visita allo zoo, che
possiede quell’anima comune e naturale da recuperare e riequilibrare, là dove è
necessario, osservando quei nostri simili.
Ma abbiamo anche con noi una bimba, che con la sua anima in
equilibrio con i sensi e con l’istinto sa comprendere ognuno degli animali
nello zoo, e con il suo corpo cerca di procedere anche nel viaggio con gli
umani in questo nostro zoo del mondo.
Più che il suo nome, è importante il simbolo di mezzo che ha
scelto per accompagnarci: una rana: un anfibio: per essere in grado di
procedere in due ambienti diversi mantenendosi in unione e in equilibrio con
entrambi.
E io, ora, che cosa sceglierò per me in questa visita allo
zoo?...
“Tigre contro tigre…” ripete la bimba additando alla gabbia.
“Che cosa vuoi dire?” le chiedo.
“Che quelle tigri là adesso son lì calme, ma se cominciano a
litigare, anche solo per un pezzo di carne, diventano nemiche, dimenticano di
essere nella stessa gabbia e della stessa razza”.
“Già. Succede anche a noi qui fuori: basta poco per dimenticarci
di essere di una stessa famiglia umana, appena vediamo qualcosa che ci
interessa e che vogliamo per noi”.
La tigre appare ora bella e calma, ma ogni volta che vede
qualcosa di interessante per lei, sia in bene che in male, agisce mettendo in
moto tutta la potenza che ha dentro di sé, per raggiungere quello che vuole.
Senza guardare in faccia a nessuno. In negativo e in positivo, questo lo si può
applicare anche a noi.
La bimba rimane a osservare tra le sbarre quella tigre, poi riprende: “Ma lo sai che più la guardo, più la sento venire dentro di me, come se mi passasse la sua forza? Mi sembra di ricevere la sua forza solo stando qui a osservarla!”.
Anche una piccola rana, debole e indifesa, può ricevere forza osservando la tigre. Può ricevere la sua tenacia, la sua caparbietà, il suo slancio e la sua tattica per affrontare la vita. Ma certo è che se la rana osservando la tigre vien tratta in inganno ed è costretta ad imitarne solo la forza bruta e violenta a scapito dei simili più deboli, sarà in crisi nella sua identità e non saprà più come affrontare con le sue buone intenzioni quel mondo che la tigre le ha mostrato con delle cattive informazioni.
“Questo animale è come la rana – dissi alla bimba – perché ha un po’ di umano del Papa e un po’ di animale del gallo!”.
“Come il Papa, perchè deve ripetere le cose per farcele capire,
e come lui perché deve svegliarci nel non dormirci sopra!” osservò.
La definizione della bimba mi apparve di una teologia sopraffina
e concreta, e mi fece capire che con poche parole si può dir tutto.
E per di più, dir con ironia appariva valer meglio che in
serietà.
Veder la bimba invader la teologia mi apparve roba strana, ma
forse occorreva avere il senso dell’intuito e del lasciarsi andare oltre, era
tutta qui la questione. Forse releghiamo ai bimbi solo le cose banali e
inutili, senza pensare che essi ci possono dare, se diamo loro le possibilità,
le cose migliori. Ma finchè li trattiamo da bambini e da bambocci, riducendoli
a fantocci per noi, queste possibilità meravigliose non possono emergere per
noi. Far emergere dalla bimba le sue facoltà, è la sua possibilità. Ma dipende
da noi, dal non farci superiori, dal non far da papa e dal non credere di
essere noi il gallo del pollaio. Un po’ di umiltà…
Certo, il pappagallo ha uno stile di dignità nel suo portamento,
e ci invita a far altrettanto, a seguirne lo stile e le modalità, ricordandoci
di non stancarci nel ripetere le cose, perché, come dice il detto: “Repetita
iuvant”, se tutto è fatto con amore.
A volte succede che ripetiamo, ripetiamo e rifacciamo senza
valore e senza senso più di tanto, dimenticando che dobbiamo uscire dal livello
della superficialità e del dovere, e lasciarci guidare, come fa ora qui questa
bimba, dalla contemplazione.
“Certo che avere quel coso davanti agli occhi sarà un bel fastidio!” osservò la bimba.
“Certo, certo…la rana ha invece una visione libera davanti ai
suoi, vero? E per questo ti piace come riferimento…”.
Ma la bimba non sorrise, anzi si fece triste e assorta, come a
indicare che qualcosa non quadrava in quella mia battuta ironica.
Pensandoci bene, a volte il peso davanti agli occhi che ingombra
il nostro sguardo può essere visibile, come nel caso del nostro rinoceronte; ma
ci sono pesi che non vediamo, invisibili agli occhi altrui, ma che appaiono
invece davanti al nostro sguardo, e che ci impediscono di vedere serenamente
dove andare. E spesso, quel peso non è naturale, ma ci è messo davanti per
rimarcare i nostri limiti e le nostre incapacità…e sottolineato da chi ci
dovrebbe amare, e invece ci vuol solo far soffrire, come a ripicca per non
essere stato amato o per non aver la capacità ora di dare amore.
La bimba sta ondeggiando, come ubriaca…
”Che stai facendo?” le chiedo un po’ preoccupato.
Mi sorride: “Sto imitando la camminata del rinoceronte…guarda,
guarda come cammina! Sembra che stia ballando!...” e mentre continua così,
osservandoli in sintonia uno di là e lei di qua dalla recinzione, fanno proprio
una bella coppia: una rana che balla con un rinoceronte, in un lento che li
assimila a un sereno momento di vita insieme, dove la recinzione e ogni altro
ingombro scompaiono agli occhi, e appare invece in gioiosa fantasia l’incontro
naturale tra l’animale che appare una bomba e l’umanità di una bimba.
Quel che si vede sulla zebra son le righe, ma quel che la zebra ti dice è tra le righe, potremmo dirla in forma di filosofia di vita. Spesso quel che vedi sulle righe non appare a te, se non osservando meglio quello che si vede tra le righe.
Una rana sta di qua, ma salta anche di là; sta sulla terra, ma
poi balza nell’acqua, come a far sapere che il sapere non è mai tutto lì dove
stai, se un po’ da lì non te ne vai.
In questa bimba ammirante la zebra par di vedere la doppia
condizione: del dover star per forza in una situazione da subire, e del dover
andar per amore in un’altra situazione da esplorare, con il rischio e
l’avventura; e magari, non più lì accettata e compresa. Ma val la pena
rischiare, se vuoi dalla zebra animale passare alla situazione umana.
“Sarà di più il bianco o di più il nero sulla zebra?” mi chiese.
“Boh…sai che non ci ho mai badato…dipende anche da ognuna…”.
Già, forse bianco o nero, positivo o negativo, nella nostra vita
appaiono a seconda delle situazioni e delle condizioni che viviamo. Ma che
bianco sia positivo e nero sia negativo certo non è definito: magari
un’esperienza negativa ci porta poi a un positivo, e viceversa…l’importante è
viver quello che siamo, zebre o meno.
Se poi hai come riferimento una rana, che cos’è più facile che
non saltare dal nero al bianco e dal bianco al nero, svincolandosi dal negativo
e abbracciando il positivo, in tutto quello che la vita ti dà? Una rana, come
una bimba, non saltano qua e là a caso, ma si allenano crescendo a sperimentare
il balzo del vivere, per fare delle loro esperienze un modo per distinguere il
bene dal male.
Piccolo, grazioso e simpatico, accomunato alla nostra bimba non solo in queste caratteristiche, ma anche per ispirare istintivamente il sorriso, ecco che si nasconde tra i rami e quasi non osa farsi vedere. Anche nella timidezza, proprio come la bimba. Una specie in pericolo di estinzione – forse anche per queste caratteristiche – proprio, anche qui, come la bimba: in pericolo.
Il mondo non è infame, come spesso si sente dire, ma è
soprattutto distratto, non propenso a cogliere una rana che saltella qua e là,
una bimba che si distrae in quel che il mondo definisce un inutile perditempo;
e anche il panda, a che serve, direbbe qualcuno, se non produce?
“Qual è la sua attività? Che cosa fa il panda?” mi chiede lei.
“Beh…non è che abbia una particolare attività… anzitutto, il
panda è da contemplare, da considerare in sé, per quello che è e non per quello
che fa” e mi sembra una buona risposta, e anche collegata alla bimba.
“Un po’ come la rana?...” richiede la bimba.
“Sì, e come altri animali e altri umani, che non vanno visti per
quello che devono per forza produrre, ma per quello che valgono in sé, come
identità da accogliere, comprendere e apprezzare. Ma spesso il mondo questo non
lo considera…” e la osservo.
La bimba osserva il panda nel suo nascondimento tra i rami, poi
si abbassa per scrutarlo meglio, si muove a destra e a sinistra, per vedere
dove sta, e ogni tanto lo indica a me per mostrarmelo.
“Ecco una rana osservatrice – indicando la bimba al panda – la
vuoi come compagna di gioco?” e la bimba annuisce sorridente.
Mentre procediamo, ecco che da dietro le sbarre di una specie di stalla un giovanotto sta sollevando del fieno con una forca, e lo sparge ora a destra ora a manca.
“Ciao, bimba, come ti chiami?” si rivolge a lei il giovane.
“...Rana Vera…” risponde lei decisa balzando in avanti verso
lui.
“E tu, come ti chiami?”
“Io sono Johnny…Rana Vera?...Ma è proprio questo il tuo nome?”.
“Metà Rana, metà Vera: è un nome anfibio…”
“Oehh!...” esclama il giovane appoggiandosi alla forca.
“Tu abiti qui con gli animali?” chiede la bimba.
“No, no…lavoro qui…dò loro da mangiare, e metto in ordine…”
“E non hai paura quando vai vicino a quelli feroci?” chiede lei.
“Beh, quando vado da quelli, sto bene attento e ho le mie
precauzioni e gli strumenti adatti…ma non sono quelli i più pericolosi…”
“Oh!” intervengo io con uno scatto di meraviglia.
“Non ci crederete, ma a mie spese ho imparato a stare attento
più a non dar troppa confidenza a quelli che sembrano calmi e domestici…”
“???...” e lo osserviamo con stupore sia io che la bimba.
“Tempo fa stavo mettendo della biada nella mangiatoia, non
curandomi troppo dell’asino dietro di me, che non so se avesse la luna quel
giorno o si è sentito in pericolo, mi si è d’improvviso avvicinato e mi ha
morsicato in pieno sedere…niente di grave, però qualche punto me lo hanno
messo…e così da asino che sono stato io quel giorno, ho imparato a guardarmi
bene e con prudenza non solo da quelli che credo feroci, ma anche da quelli che
credo sono amici, ma vanno sempre accostati come animali”.
Dopo aver parlato con lui ancora un po’, salutiamo e procediamo…
Lo sguardo della bimba è come rapito dal rapace, e lei è come incantata di fronte a quell’aquila che ruota pian piano la sua testa a destra e a sinistra, come a guardarsi intorno guardinga. “Cosa stai pensando?” le domando incuriosito, vedendola lì così.
“Questa aquila sta suggerendo cose importanti per me rana…”
risponde a mo’ di oracolo.
“Ti sta parlando?” ribatto con tono un poco ironico.
“Non ci crederai, ma lei che adesso non può più volare alto, sta
usando un’altra capacità, che è quella di mandare fuori da sé tanta energia,
che è come, anzi di più che volare altissimo!”.
“E te la passa, questa energia?” chiedo un po’ ironico nel dire.
“Sì, spandendola attorno a sé, per chi vuole ricevere,
attraverso i suoi occhi che sono come raggi di sole; per me adesso, e anche per
te, se vuoi essere illuminato”.
“E’ un’aquila illuminante, allora, una specie di Buddha!” e
sorrido.
“Guarda che c’è poco da ridere – continua seria la bimba – lei è
molto triste, non può più dare quello che è, e ci regala lo stesso dalla sua
tristezza quello che gli rimane di bello e di buono. Invece di tenerselo per
sé, pensa ancora a regalare quello che ha. E’ un’aquila molto triste, ma
soprattutto che regala amicizia”.
A volte pensiamo di vedere nell’altro quello che c’è o che non
ha, ma non vediamo mai quello che in verità emerge quando l’altro comincia a
soffrire, esprimendo da sé per noi quello che senza lo sguardo di questa bimba
noi non vedremmo mai.
Ma lei, ispirandosi alla rana, è come balzata al di là della
grata, ad abbracciare quella triste aquila che le regala, al di là della sua
tristezza, la sua capacità di elevarsi oltre ogni umana altezza, là dove solo
un’anima animale in modo naturale ci mostra l’umanità.
In alto, sui tralicci, ecco la cicogna far il nido oltre gli impicci: quelli degli umani che tra e pro dell’aborto, non vogliono che una vita senza regole e leggi precise vada in porto.
“Finalmente un’animale che produce qualcosa di bello!” dico io.
“Che ci porta qualcosa di bello!” corregge la bimba.
Dalla produzione, al dono, qualcosa certo cambia.
Non è fatto da noi, quel qualcosa, ma è dono per noi e per
tutti.
“Ma i bambini non nascevano sotto il cavolo?” domanda la bimba.
“ Sotto il cavolo è come dire: in modo misterioso” le dico io.
“Ma la cicogna, cosa c’entra in questo?” ribatte lei.
“E’ solo ambasciatrice, lei, che non porta pena e
responsabilità”.
“Un corriere, come Amazon?” chiede curiosa la bimba.
“ Come Amazon, ma fatto con più naturalezza e non per soldi”.
La cicogna sui tralicci, come la rana, salta su per evitare
tutti gli impicci umani: soldi e commercio e produzione, cose che per lei sono
solo umiliazione, mentre lei vorrebbe esprimere solo questo sentimento: quello
del ringraziamento per il dono della vita avuta, da donare a sua insaputa.
Portar la vita dal cielo è come il venir angelico messaggero;
certo, umanamente non si comprende se non si varca serenamente come può far la
bimba ranocchia, che sempre al di là il suo occhio adocchia; dovremmo imparare
e vedere oltre la dimensione del procreare e vedere dove si va a parare dopo
aver avuto in sorte un figlio e metterlo dentro in ‘sto parapiglio: lo zoo ci
riporta alla base del mistero che si va a creare: è l’amare.
“A me gli occhi!...” rivolge in tono solenne la bimba.
“Che vuoi fare al gufo?” le domando sorridendo.
“Voglio che mi dia i suoi occhi, per vedere anch’io nella
notte!”.
“E che vuoi vedere di notte?”
“Quello che vede anche lui: le cose come fosse di giorno!”.
“Scommetto che di notte tu hai paura…” le dissi.
“No, non ho paura…ho paura più del giorno, a volte” risponde.
“Perché ora vuoi la sua visione di notte?”
“Per vedere attraverso la notte come sorgerà il giorno, e così
non avrò più paura della luce” dice come sentenziando lei.
Andare alle radici delle cose significa entrare nel mondo della
notte, anche per noi. Se vuoi vivere bene il giorno, guarda attraverso la
notte, mi suggerisce la bimba, proprio partendo dal simbolo del suo essere
rana, assumendo in sé sempre una doppia situazione, per essere completa nella
sua identità.
Se dimentichiamo la metà della nostra situazione, veniamo meno
alla nostra condizione; per questo anche se viviamo sopratutto alla luce,
abbiamo bisogno di saper come guardare nel buio, per essere noi stessi.
La bimba che vuol vedere attraverso la notte richiama a noi di
avere lo sguardo penetrante attraverso le visioni notturne e le esperienze
negative della vita, per intravedere, al di là del momento buio, il sorgere di
nuovo del sole.
“Per il gufo la notte è giorno, e il giorno è la notte; proprio
come la rana che sa stare sulla terra e nell’acqua scambiando gli ambienti a
piacimento…così mi piacerebbe vedere” conclude lei.
Nel laghetto dei cigni ci si specchia assieme a loro, ricordando a noi il guardar la nostra immagine come riflesso della nostra vita.
Il cigno è il riflesso di chi vuol riflettere solo se stesso e
essere al meglio della propria identità, ignorando quello che sta attorno. L’eleganza
e la visione a 360 gradi non permette a nessuno di competere con sé, e ogni
altra creatura in quel mentre è ignorata. Il cigno è creatura nobile ma che
esclude da sé quel che dal mondo gli è dato, come quell’umano che si specchia
nel mondo e non vede altro che sé.
“Nel suo laghetto fa la sua bella figura!” osserva la bimba.
“Fuori da quel laghetto non sarebbe che un nulla” osservo io.
Finchè ci si specchia e ci si approva, come il cigno anche
l’umano si consola, ma non porta a niente al di fuori di sé, oltre quello che
vede riflesso sull’acqua: il proprio io, la propria immagine limpida. Quella
limpidezza gli fa credere di essere bella presenza e con un valore acquisito
senza dover niente ad alcuno, mentre il rapporto con ogni animale diventa non
più la cosa essenziale.
La bimba si specchia nel laghetto del cigno e muove se stessa
agitando le braccia, un modo per dire all’eleganza che manca di una movenza di
danza che sblocca dal riflesso della propria figura qualcosa che vada oltre ciò
che è una cosa sicura, invitando a avventura tutto quello che in misura vien
ridotto a specchietto in un piccolo laghetto, ricordando che guardando se
stesso in riflesso ogni cigno non fa che rimaner dove è messo, mentre la sua
libertà è andar sempre anche solo un passo al di là.
“Guardalo…- mi richiama la bimba indicando il puma – non sorride mai…”.
“Ma come fai a capire se sorride o no?” ribatto distrattamente.
“Guardalo, guardalo bene…non solo è nero, e proprio nero nero,
ma si muove anche sempre sospettoso, non tranquillo…è troppo serio…” e lo
sguardo della bimba segue il muoversi del puma, che vaga qua e là tra le fronde
dell’albero.
“Ti fa paura?” le chiedo.
“No,no…mi fa soggezione, mi trasmette come un brivido, ma non di
paura…non so come dirlo…” e osserva un po’ preoccupata anche me.
Trasmettere l’educazione con modo di soggezione, dare tutto quel
che si deve senza atmosfera di amore, esigere onore e rispetto agendo verso gli
altri con disprezzo e dispetto, penso che la bimba non osi dire di chi sa quel
che ha sperimentato di già, ora che quel puma gli rappresenta quel che per lei
è reminiscenza, sofferenza e umiliazione, ma non vuol da sempre denunciar come
triste situazione.
“Non preoccuparti – la rincuoro – il color verde del tuo essere
rana non sarà mai come quel nero che più nero non si può del puma!”.
“Già…” approva lei con uno sguardo sconsolato.
Sembra proprio aver la rana fatto un salto nello stagno della
nostalgia, dove non ha trovato quel che si aspettava in bene, e allora è
balzata su questo nuovo lembo di terra, che se da un lato le ha conservato un
po’ male per la nostalgia, in questo momento le sta tamponando quel bene che le
stava andando in emorragia.
“Che bello…!” ammira la bimba contemplando l’animale.
Allora le racconto la leggenda del pavone…
La bella e giovane ninfa Io stava rientrando a casa, quando lo sguardo
di Zeus si posò su di lei. Tentò di fuggire correndo nel bosco per nascondersi
ma Zeus fece scendere una fitta nebbia, che gli permise di avvicinarla e di
farla sua. Giunone, moglie di Zeus, si insospettì vedendo tutta quella oscurità
e così, gelosa, scese sulla terra ed eliminò la nebbia per capire cosa stesse
accadendo. Zeus si accorse che la moglie era nei paraggi e per sviarla, tramutò
Io in una giovenca. Giunone la vide e volle averla in regalo tanto era bella.
Zeus accettò per non insospettirla e Giunone, che in realtà aveva intuito la
verità, la affidò ad Argo dai cento occhi, che l’avrebbe custodita con
attenzione. Un giorno la giovenca Io si avvicinò a un fiume specchiandosi nelle
sue acque, ma vedendosi, si ritrasse intimorita. Proprio in quel momento giunse
Argo che la trascinò via. Ma Zeus si impietosì per la ragazza e decise di farla
liberare da Mercurio. Quest’ultimo nei panni di un pastore
si presentò ad Argo suonando una dolce musica. Argo si addormentò e
Mercurio gli tagliò la testa dai cento occhi. Quando Giunone lo scoprì, si
arrabbiò moltissimo e costrinse Io a peregrinare per il mondo, finché
raggiunse le sponde del Nilo. Qui Io supplicò Zeus di avere pietà.
Quest’ultimo riuscì a convincere Giunone a liberarla e Io si trasformò
finalmente in una fanciulla. Giunone raccolse la testa di Argo e per omaggiarlo
mise i suoi cento occhi di luce sulla coda della sua creatura sacra, il pavone.
Questi occhi simboleggiano le stelle, l’universo, la luna, la volta
celeste. I Romani non a
caso chiamavano il pavone “uccello di Giunone” e dicevano che accompagnasse le
anime delle imperatrici nell’aldilà.
Una parte dello zoo è adibita alla ricostruzione degli animali preistorici, e la bimba ne resta affascinata…”Guarda come è grande questo…come si chiama?” mi chiede avvicinandosi a esso. “E’ uno Spinosaurus, come dice la scritta qui…non avvicinarti, che è carnivoro!” le grido. E la bimba balza indietro istintivamente, poi si riprende e mi manda un’occhiata di rimprovero: “Mi hai fatto spaventare…lo so che non è vivo…ma mi sono spaventata!”. “Ma con quel balzo da ranocchia ti sei comunque salvata dalla preistoria!”.
Già, la bimba/rana ha fatto con un piccolo saltello il passaggio dalla
preistoria alla storia; ma la sua vera storia, quella di oggi, per lei ha
pericoli più grandi dello Spinosaurus. Pericoli non da animali del passato e
lontani ormai, ma da mostri di umanità vicini e presenti nel suo percorso di
vita. Che l’hanno rimandata sempre via, l’hanno fatta rimbalzare dall’oggi al
domani senza una ragione, solo per istinto. Quell’istinto primordiale che non
c’è più in questo animale preistorico ormai, ma che cresce a dismisura in
quell’animale personale nel presente famigliare che ancora a lei si accosta con
l’istinto…e questo animale non si è ancora estinto.
“Mi piacerebbe arrampicarmi e saltellare su, su, dalla schiena di questo
dinosauro, fino ad arrivare sulla sua testa!” mi dice la bimba indicando lassù.
“Con la fantasia l’hai già fatto andando oltre la sua altezza; con il cuore
pure, perché hai oltrepassato la paura, e con la mente – la tua di testa – hai
superato la testa del dinosauro, volando dal suo passato al tuo futuro, quando
sarai in grado di volare”… senza accorgermi, in quel mentre, di aver detto, a
mo’ di presagio,quel che sarebbe stato del futuro di lei…
In una teca di vetro ecco un ragno speciale: la vedova nera. Alla bimba che si avvicina faccio la raccomandazione: “Attenta, questo ragno è velenoso, se ti avvicini ti può mordere!”. Ma lei mi rassicura: “Ma non vedi che sta chiusa dentro qui? E poi, farei la mia mossa segreta: il salto della rana, e mi salvo!”.
Chiusa nella sua tana, la vedova nera ha poche relazioni; quando esce,
traccia qua e là i fili della sua tela, spesso invisibili, finchè stringe a sé
la sua preda…e non pensate sia solo un suo nemico, perché anche chi le è vicino
viene avvelenato e annientato: non per niente è chiamata così. E più passa il
tempo, più è velenosa.
“Cos’è quel segno rosso che ha sulla schiena?” domanda la bimba. “Quella,
guardala bene, richiama a una clessidra per misurare il tempo. Come a dire:
guarda che è questione di tempo: prima o dopo ti farò morire col mio veleno!” e
mostro la faccia da paura. “Anche la rana ha sulla schiena dei segni” mi
ricorda lei. “Sì, ma quelli sono segni di speranza e di vivacità, di voglia di
saltare qua e là, di richiamo alla vita e non alla morte” e intanto le faccio
segno con la mano di venir via da lì e procedere più in avanti. Ma lei si
sofferma ancora un poco a osservare: “Ma se prima faceva questo male col suo
veleno, adesso è lei che è messa male…”. “Cosa vuoi dire?” le chiedo. “Qui
dentro non è più quella che era prima: è come in prigione, e poi non ha più
nessuno non solo da avvelenare, ma neanche come compagnia. E poi, qui le
mettono lì il cibo, non ha più neanche il gusto di cercarlo, né di creare la
ragnatela per questo…e non fa male più a nessuno, adesso; starà male solo lei,
qui così!” e si accompagna alla mia mano. “Hai detto proprio bene: adesso lei è
solo vedova di se stessa, da ora in poi”.
Viene consegnato come riconoscimento di un’azione stranamente organizzata, ma in questo caso il tapiro mette sulla recinzione un fiocco rosa: è nata una piccola tapira! “Una tachipirina!” esulta la bimba. “Una specie: quieta la febbre della vita, e ci fa essere più tranquilli: una tachipirina tapirina naturale”, così la definisco. Certo una nuova nascita allo zoo è sempre segno di speranza, proprio come mi richiama la bimba: “Una nuova vita per tutti!”… E così è in verità, se vogliamo vedere con occhi nuovi. Siamo attapirati, perché abbiamo da gestire una nuova vita, ma abbiamo anche una nuova occasione per offrirci un futuro nuovo.
Il Tapiro consegnato a chi non ha fatto quel che doveva fare in verità
avviene anche oggi e richiama alla bimba/rana che volendo saltellare è stata
bloccata a tutti i livelli per superare quel che era il suo limite, e per
questo noi consegneremo il tapiro ai suoi.
La piccola tapira segue la sua mamma con fiducia e fedeltà, e da questo
dovremmo imparare anche noi, ma questo non avviene, proprio a partire dai suoi:
dai famigliari di questa bimba, abbandonata alla sua sorte e al suo destino,
senza infamia e senza lode, senza alcun sostegno e senza uno sguardo di amore,
cose che fanno del tapiro animale un segno per dare al tapiro umano il
contrassegno, lo scontrino della sua mera mostruosità.
La rana segua il tapiro, e la bimba lo tenga d’occhio, se vuol continuare a
cercare di vivere per amore quel che gli è dato in sorte ogni dove, che sia al
monte, al lago o all’ospitalità, ma che sia un luogo di verità, dove l’uscir
dalla falsa famiglia le permetta di avere anche solo un appiglio per essere più
vera e per far salto di rana anche quando la sua vita sarà sempre più disumana.
Una pausa giocosa in questa visita serena non può fare a meno di riferirsi al dondolarsi su una altalena, un passatempo per la bimba, ma anche un simbolo del suo essere rana: un po’ qua, un po’ là, in cerca di una sperata serenità, che qui, almeno in parte, è accennata dall’altalena.
Il su e giù dell’altalena non è altro che l’altalenarsi delle fasi della
vita, degli affetti e degli effetti che viviamo. A chi accompagna l’avventura
della bimba, il compito di spingere perché il su e giù sia equilibrato. Ma
qualcuno, nel caso della bimba, ha forzato il movimento e ha trattenuto la
piccola in una fase che non ha più trovato la corrispondenza, facendole perdere
così l’equilibrio, esponendola così a una caduta rovinosa.
“Spingi più forte!...Più forte!” mi invita a gran voce la bimba. A lei
piace lanciarsi nell’avventura della vita, rischiare, andare oltre… “Più di
così non si può, non riesco e non è possibile!” rispondo ponendo fine al mio
sforzo che ha esasperato le mie energie. Ma a lei questo non basta, e con mani e
gambe, a mo’ della rana, distende e ritrae a scatti il proprio corpo per
renderlo più capace di balzare ancor più in là della fine del movimento
dell’altalena. Lo zoo non la rinchiude
affatto, anzi, le sprigiona le energie sommesse e inespresse. Solo lo zoo della
vita esterna a questo parco le sarà di gabbia, di recinzione, di limite e di
asfissia, dove chi l’avrebbe dovuta amare la farà smettere di giocare,
riversandole addosso serietà e pessimismo, solitudine e disprezzo,
incomprensione e continuo richiamo a essere quello che non avrebbe dovuto
essere: un’altra da sé. Ma per ora, la pausa dello zoo e un po’ di svago
sull’altalena le dà un po’ di gioia.
“E’ come un gatto!” sentenzia la bimba, mentre segue con gli occhi gli slanci del felino. Già, per lei, istintivamente, anche ciò che è animale feroce richiama a quello più domestico e di compagnia. Dovrei imparare anch’io da questa banale osservazione a ricondurre le negatività e le cattiverie della vita a ciò che c’è comunque e sempre in positivo da qualche parte, ma se guardo alle ingiustizie subite dalla bimba, questo passaggio mi risulta ancora difficile.
“E’ un gatto che insegna a te come rana a saltare sempre più un alto dei
tuoi limiti, a sforare il cielo, come sta facendo lui con questi balzi!”; e lei
mi si rivolge meravigliata: “Guarda che non si può forare il cielo: non è un
muro o una gabbia…” e scuote la testa. Già, anche in questo caso, è lei che mi
riporta con i piedi per terra, richiamandomi nei miei limiti e nelle
possibilità che non devono andare troppo oltre, e non certo oltre il cielo. E’ ancora il simbolo anfibio che le
insegna a vivere, per quello che le è possibile, tra la terra e il cielo con un
certo equilibrio e un po’ di serenità.
Ma il ghepardo, in effetti, alla fin fine, nella sua naturalità, non è
altro che un gatto. Mentre l’umano usa ferocemente i suoi artigli a scapito
dell’altro, piombando improvvisamente di sorpresa e straziando i suoi progetti,
i suoi affetti e le sue attese. E’ successo anche alla bimba che a sue spese ha
condiviso un percorso accanto a un gatto – così lei lo riputava – che si è
trasformato in un diabolico ghepardo. E qui, l’umano, come sempre in negativo,
supera in male, in malizia e in astuzia ogni mossa del ghepardo, generando da
sé la figura di un gattopardo.
“Questo di sicuro è un animale che scappa via veloce!” mi indicò la bimba mostrandomelo attraverso la recinzione. “Sì, sì…deve avere prontezza di riflessi e gran velocità per sfuggire alle grinfie dei suoi assalitori!” le risposi accennandole di sì con il capo. “E le corna che ha, a che servono?” mi chiese lei. “Mah, certo per difendersi, ma forse sono anche come antenne per orientarsi nel cammino, per farsi strada nel procedere” cercai di spiegarle. “La rana non le ha, e non sa come difendersi né come orientarsi…” mi accennò col volto un poco rattristato. “Beh, la rana non ha bisogno delle corna, perché ha un sesto senso che vale come quelle, e sa quando deve scappare e anche dove andare in quel momento per evitare il pericolo” le risposi, cercando di darle così un po’ di conforto. “Comunque, questa specie di gazzella è sempre in pericolo, deve sempre essere pronta a scappare, e velocemente” riaffermò decisa la bimba. “La rana, come l’antilope, scatta via e evita il pericolo” le dissi, per rincuorarla. “Già…ma mentre quella antilope lì il pericolo lo vede, la rana non se ne accorge, perché il pericolo le viene non da lontano, ma da vicino, da chi pensa sia suo amico e famigliare…” e qui la bimba si fa pensosa e seria.
L’esser destinata a preda e non a esser predatrice, se da una parte la fa
essere quel che è in verità,dolce e sensibile, dall’altra non le dà la
possibilità di vivere in serenità il percorso di vita quotidiana, perché
minacciata da un pericolo incombente ogni giorno proprio là dove si aspetta
amore e comprensione. L’esser tradita e incompresa la rende preda ambita di chi
le sta accanto, e vuol da lei solo rendimento, produzione, risultati concreti e
non altro, a scapito del suo esser presa e preda di un falso amore.
“Quel becco di quell’uccello sembra proprio una grande borsa!” mi disse la bimba. “E’ una sacca per contenere il nutrimento da dare ai suoi piccoli!” risposi con decisione. “Ah, che fortuna che hanno quei piccoli…” disse lei con tono un po’ sconsolato. Capii che senza far sapere com’era per lei, alludeva al fatto di non essere accudita con quell’amore che le suscitava quel becco del pellicano. “Dobbiamo vivere momento per momento quello che la vita ci dà – le dissi a tono un po’ consolatorio – e non sempre possiamo avere le risorse già pronte per affrontare la nostra vita”. “Però, il pellicano provvede ai suoi piccoli, e lo si vede bene da quel becco così grande” riaffermò con saggezza e un po’ di invidia. Già, quella natura animale le stava dicendo come spesso la mancanza di un segno indicava anche all’umano la mancanza di un amore che avrebbe dovuto esserci, e che non c’era affatto. “Il pellicano è un portatore di cibo, di assistenza, e quel becco è come un bagaglio dove portare le risorse della vita” conclusi, avviandomi avanti.
“Invece delle parole, nella sua bocca c’è il cibo per i suoi piccoli
-osservò la bimba stando ancora ad osservare il pellicano – un po’ come quando la
rana gonfia il suo mento, come a voler essere come questo pellicano”. Già, la
bimba/rana, pur non avendo niente da dare, avrebbe voluto essere di aiuto agli
altri, in quel che gli era possibile. Ma dall’altra parte, spesso, ha trovato
solo la sottolineatura della sua nullità, della sua incapacità del vivere,
della sua impossibilità ad accedere alle possibilità umane e solidali. La rana
avrebbe voluto riempire la sua sacca per dare qualcosa ad altri, ma altri
l’hanno bloccata col becco grande e vuoto, mostrandole l’inutilità del vivere
per amore, e per donare.
Nello zoo di nostra vita
una bimba era arrivata,
procedendo a gran fatica
perché spesso ostacolata.
Ma la vera recinzione
era spesso umiliazione
che veniva da quel detto:
ti do tutto senza affetto.
Per trovar la soluzione
del gestir la situazione
alla fin trovò la via
con la propria fantasia.
Una rana lei trovò
che in quel dì la sollevò
come simbolo ad effetto
per recuperar l’affetto.
Nello zoo come animale
si trovò per quel che vale
e balzando poi al di là
si scoprì in umanità.
Ed a volte nella vita
quando sembra sia finita
basta un po’ di fantasia
e dallo zoo vai nella via.
Tornata esausta ma contenta, la bimba si addormentò…e sognò, sì, un concerto tra tutti gli animali dello zoo visitato, e lei a dirigere non tanto una musica, ma una sintonia tra umano e animale, un concerto certo molto speciale, anzi uno eccezionale.
Una rana direttore di concerto fa certo
senso e pure sconcerto.
La proboscide dell’elefante trombettiero
esultante, l’ippopotamo che con la zampa batte il ritmo della danza, il leone
che la criniera mostra a mo’ di un’altalena, e la iena balla e a orecchio fa cantilena;
la giraffa che nel suo girar mostra più della Carrà, il pappagallo che a cantare
fa come il gallo, il fenicottero su una gamba fa sempre e solo un passo a
danza, la tartaruga che per ballare il sudor deve asciugare, il cammello che
sgobbettando vuol farsi bello, l’orso polare che nel danzar sembra volare, ed
il pinguino che par bevuto aver troppo vino, il lupo cerca di far coppia con
chi poi lui se l’accoppa, le scimmie ballano su ogni appiglio creando sempre di
più scompiglio, l’anatra starnazza e appare pazza in questa sua danza, lo
struzzo si muove a razzo come un ragazzo, e l’anaconda facendo l’onda appar
gioconda, mentre la foca nel suo ballar fa un po’ da oca, e il canguro nel suo
saltar scavalca il muro, mentre la volpe ballando adesso scioglie le colpe, e il
lama nel suo danzar dice che l’ama, mentre la flora insieme alle piante
circondan tutti da tutte le bande.
Lo zoo è una sintonia, un concerto di
animali e di umani chiamati a vivere, per quanto possibile, in un accordo
naturale, e a non diventare, come invece accade, una deformazione artificiale,
a scapito degli uni e degli altri. La creazione continua, oggi, e al suo
risveglio anche la bimba/rana è chiamata a orchestrarla, ora.
La visita allo zoo, pur bella, sarà un addio o un arrivederci? Dipende da chi ci va. Certo, la bimba/rana ci andrebbe ogni giorno. Ma la realtà le richiama di tornare, come in una missione, nel quotidiano dell’umanità, ad esprimere il meglio di questa realtà che le ha dato riferimento, esempio e calibratura, nel percorso della vita buona, cattiva, dolce o dura che ora lei, la bimba, dovrà affrontare.
Ma la rana anfibia, capace di viver la
vita del di qua e del di là, un aiuto alla bimba le darà, al di là di quel che
poi succederà. Il cammino
saltellante è una regola costante, di fedeltà a un simbolo universale richiamato
dal mondo animale, che una rana ha espresso come essere in una vita umana, pur
con limiti e contrasti e assurdità, assieme a qualche possibilità. E questo,
crescendo, la bimba lo saprà, e lo subirà, lo accetterà; ma soprattutto a lei e
a noi lo illuminerà.
La visita allo zoo non è mai un addio,
ma sempre una biopsia delle cose belle e brutte della vita, estrapolando,
all’uscita, la ricerca della medicina adatta per procedere non certo alla
perfezione, ma in equilibrio, su quel filo sottile che la vita ci chiede di
percorrere, finchè il tempo scadrà e ci farà cadere in un secondo, secondo
quello che è il nostro destino, umano o divino.
La bimba, col suo simbolo di ranocchia,
ci ha come strizzato l’occhio, per farci partecipi del suo destino, del suo
cammino, per condividere con noi un po’ del suo sofferto sorriso, in modo che
anche noi, nella gioia e nel dolore, nella buona o nella cattiva sorte, possiamo
affrontare la vita e la morte, qui, in questo zoo.